Fin dall'inizio, la Repubblica fu posta sotto grande pressione tanto dagli estremisti di destra quanto da quelli di sinistra. La sinistra accusava i Socialdemocratici al potere di aver tradito gli ideali del movimento operaio, patteggiando con i poteri del vecchio stato invece di mettere in atto una rivoluzione comunista. La destra si opponeva a un sistema democratico, perché avrebbe preferito mantenere uno stato autoritario come l'Impero del 1871.
Gustav Stresemann era il leader del Partito Popolare Tedesco, di formazione democratico-liberale. Fu cancelliere per un breve periodo nel 1923 e ricoprì il ruolo di Ministro degli Esteri (1923-1929). Formò un governo di grande coalizione con il Zentrum e i socialisti. Questo periodo fu di relativa stabilità per la Repubblica di Weimar, con un minor numero di sollevazioni e l'inizio di un'apparente ripresa economica.
La sua prima mossa fu quella di emettere una nuova valuta, il Rentenmark, per arrestare l'iperinflazione che stava paralizzando la società e l'economia tedesca. Per stabilizzare ulteriormente l'economia, ridusse le spese e la burocrazia e al tempo stesso aumentò le tasse. La maggior parte dei finanziamenti necessari a far ripartire l'industria produttiva tedesca sarebbero stati messi a disposizione proprio dagli Stati Uniti che, in questo modo, avrebbero potuto collocare i capitali eccedenti, investendoli in Germania in cambio di grandi profitti.
La Germania fu ammessa nella Società delle Nazioni, firmò un patto di neutralità con l'Unione Sovietica e il disarmo venne fermato. Infine, il 24 luglio 1929 entrò in vigore il Patto Briand-Kellog, per il quale i sottoscrittori (tra cui, oltre alla Germania, alla Francia e agli Stati Uniti, anche il Giappone, la Russia e l'Italia) si impegnavano a rinunciare alla guerra e risolvere i contrasti per via diplomatica. Quello stesso anno, la morte di Stresemann segnò la fine dell'"epoca d'oro" della Repubblica di Weimar.
Gli ultimi anni della Repubblica di Weimar furono caratterizzati da un'instabilità politica superiore a quella degli anni precedenti. Le successive elezioni generali del Reichstag, il 14 settembre 1930, risultarono un terremoto politico: il 18,3% dei voti andarono alla NSDAP, cinque volte in più della percentuale del 1928. Questo ebbe conseguenze devastanti per la Repubblica: non c'era una maggioranza nel Reichstag neanche per la Grande Coalizione e questo incoraggiò i sostenitori della NSDAP a manifestare le loro richieste di potere con una violenza e un terrore crescenti. A partire dal 1930 la Repubblica scivolò sempre più in uno stato di guerra civile.
Dal 1930 al 1933 Brüning tentò di risanare lo stato che si trovava in una situazione disastrosa e senza una maggioranza in parlamento, governando con l'aiuto dei decreti presidenziali di emergenza. In quel periodo la grande depressione raggiunse il culmine. In linea con le teorie economiche liberali, secondo cui una minore spesa pubblica avrebbe avviato la ripresa economica, Brüning tagliò drasticamente le spese statali. Si aspettava e si accettava che la crisi economica sarebbe per un certo tempo peggiorata prima di iniziare a migliorare. Tra le altre cose il Reich bloccò completamente tutte le concessioni pubbliche per l'assicurazione obbligatoria sulla disoccupazione che era stata introdotta solo nel 1927, il che risultò in maggiori contributi da parte dei lavoratori e minori benefici per i disoccupati, non esattamente una misura popolare.
Il rovescio economico durò fino alla seconda metà del 1932, quando ci furono le prime indicazioni di un rimbalzo. Ma per quel tempo, la Repubblica di Weimar aveva perso tutta la credibilità nei confronti della maggioranza dei tedeschi. Mentre gli studiosi sono in grande disaccordo sulla valutazione da dare alla politica di Brüning, si può tranquillamente dire che contribuì al declino della Repubblica. Se a quell'epoca esistessero o meno alternative rimane oggetto di ampio dibattito.
Nell'aprile del 1932, Hindenburg venne rieletto Reichspräsident, superando al secondo turno Hitler per sei milioni di voti. Nonostante Brüning avesse appoggiato fortemente la rielezione di Hindenburg, ne perse la fiducia e dovette dimettersi il 30 maggio. Hindenburg incaricò come nuovo Reichskanzler Franz von Papen.
Il 4 gennaio 1933, Hitler si incontrò in segreto con von Papen in casa del banchiere di Colonia Kurt von Schroeder. Si accordarono sulla formazione di un governo di coalizione. Quando il piano venne finalmente presentato a Hindenburg, questi nominò Hitler come il nuovo Reichskanzler il 30 gennaio 1933. Anche se von Hindenburg diffidava di Hitler e disapprovava fortemente la violenza politica dei nazisti, e aveva sconfitto Hitler nelle elezioni presidenziali del 1932, condivise, sia pure con riluttanza, la teoria di von Papen secondo cui, con il supporto popolare ai nazisti che stava scemando, Hitler poteva essere controllato come Cancelliere. Questa data viene comunemente considerata come l'inizio della Germania Nazista.
Il nuovo governo instaurò la dittatura con una serie di misure in rapida successione. La legge dei pieni poteri, del 23 marzo 1933, diede formalmente a Hitler il potere di governare per decreto e di smantellare a tutti gli effetti i resti della costituzione di Weimar. Alla morte di Hindenburg, il 2 agosto 1934, Hitler fuse assieme gli uffici di Reichspräsident e di Reichskanzler e si reinsediò con il nuovo titolo di Führer und Reichskanzler.
L'individuazione delle ragioni per le quali la Repubblica di Weimar sia crollata in maniera così catastrofica a favore della dittatura nazista è ancora oggi oggetto di molti dibattiti. I tentativi più comunemente utilizzati si possono raggruppare in tre correnti principali di seguito sviluppate: ragioni economiche, istituzionali e personali.
La Repubblica di Weimar ebbe alcuni tra i più gravi problemi economici mai sperimentati nella storia di una democrazia occidentale. L'iperinflazione rampante, la massiccia disoccupazione e il grave abbassamento della qualità della vita, furono i fattori principali del collasso. In questo contesto, il Trattato di Versailles era considerato dal popolo tedesco come un documento punitivo e degradante, che costringeva la nazione a cedere aree ricche di risorse e a pagare somme enormi a titolo di riparazione di guerra. Queste riparazioni punitive non solo danneggiarono pesantemente l'economia tedesca, ma causarono anche grande costernazione e risentimento da parte della popolazione. [Tratto da La Repubblica di Weimar]
Oggi l'Italia sta ripercorrendo la stessa strada, benchè ci siano alcune differenze di forma, la sostanza è la stessa. E' un mondo di Banche e finanza, l'Europa delle Banche e dell'austerità, l'Italia delle Banche e dei conflitti di interesse. E poi i problemi sono gli evasori e il contante!
Il problema dell'Italia è ormai una casta di Banche-Politica-Faccendieri-Multinazionali-Sindacati-Militari in un vortice affaristico senza controllo e con grandi appoggi istituzionali ai massimi livelli. Un'intera classe dirigente andrebbe rimossa. Ci vorranno anni. Spero in una rivoluzione civile (non mi riferisco a partiti, ma ad un moto di orgoglio nazionale), prima che l'Italia si trasformi in Weimar. L'unico modo che abbiamo di tentare di liberarci da tutta questa gente è NON VOTARLI. [Tratto da Rischio Calcolato]
Oggi l'Italia sta ripercorrendo la stessa strada, benchè ci siano alcune differenze di forma, la sostanza è la stessa. E' un mondo di Banche e finanza, l'Europa delle Banche e dell'austerità, l'Italia delle Banche e dei conflitti di interesse. E poi i problemi sono gli evasori e il contante!
Il problema dell'Italia è ormai una casta di Banche-Politica-Faccendieri-Multinazionali-Sindacati-Militari in un vortice affaristico senza controllo e con grandi appoggi istituzionali ai massimi livelli. Un'intera classe dirigente andrebbe rimossa. Ci vorranno anni. Spero in una rivoluzione civile (non mi riferisco a partiti, ma ad un moto di orgoglio nazionale), prima che l'Italia si trasformi in Weimar. L'unico modo che abbiamo di tentare di liberarci da tutta questa gente è NON VOTARLI. [Tratto da Rischio Calcolato]
Qualche proposta: ad esempio il carcere a vita per alcuni reati finanziari
Per certi versi, lo scandalo del Monte dei Paschi cade come il formaggio sui maccheroni, perché mette a nudo una serie di questioni di cui proprio non si fa cenno in questa sordida campagna elettorale. Che il Mps navigasse fra i guai di titoli obbligazionari basati sul nulla era cosa che si sapeva già da un bel po’, che la crisi esploda in modo irreparabile proprio ora, a meno di un mese dal voto non sembra davvero una coincidenza casuale.
Entriamo nel merito delle cose da fare e non caviamocela con la proposta di commissariamento, che può andar bene, ma, alla fine, risolve poco, perché non si tratta del solo Mps ma di una melma che avvolge tutto il sistema bancario internazionale.
Ed allora veniamo ai punti davvero decisivi:
A - Rapporto politica-finanza: garantire la separazione netta fra potere politico e finanza, il che non significa necessariamente che la finanza debba esse sempre e solo privata (anzi, sarebbe auspicabile un ritorno della finanza pubblica), ma separare nettamente gli interessi e non creare “centri di potere misto”. A questo proposito occorrerà studiare adeguate misure per le nomine dei responsabili, per garantire l’indipendenza del loro operato dal potere politico, ma anche per garantire forme di controllo efficace del loro operato;
B - Tornare alla separazione fra banche di raccolta e banche d’affari: l’inizio della serie ininterrotta di scandali bancari degli ultimi 10 anni (dal caso Enron a Parmalat, dalla Lehman Brothers a Dexia) in un modo o nell’altro è sempre riconducibile all’infausta decisione degli anni novanta di cancellare la separazione fra banche d’affari e banche di raccolta. Che ne dite se riconsideriamo questa norma che, tecnicamente, possiamo definire solo con una parola: criminogena;
C - Derivati: quello che ha fatto il gruppo dirigente del Mps è stata la stessa cosa che hanno fatto tutte le banche del mondo negli ultimi anni: nascondere i propri imbrogli nel tritacarne dei derivati che sono alla base del crack del 2007-8 e che sono ripresi in piena forma, superando il volume pre-crisi. Credo che sia arrivato il momento di dire che non esistono derivati tossici e derivati non tossici, ma che i derivati, per definizione sono titoli tossici da mettere fuori legge. Non sarebbe il caso di iniziare una campagna internazionale in questo senso? Quantomeno si possono prendere decisioni limitative a livello nazionale;
D - Pene per i reati finanziari: che ne dite di inserire nella campagna elettorale la proposta di ripensare completamente i reati finanziari combinando pene dai 20 anni all’ergastolo in base alla gravità del fatto? Possibilmente con l’applicazione, ad essi, del 41 bis. O pensate che i reati finanziari siano meno pericolosi di quelli di terrorismo e mafia? [Tratto da Aldo Giannuli Blog]
Per certi versi, lo scandalo del Monte dei Paschi cade come il formaggio sui maccheroni, perché mette a nudo una serie di questioni di cui proprio non si fa cenno in questa sordida campagna elettorale. Che il Mps navigasse fra i guai di titoli obbligazionari basati sul nulla era cosa che si sapeva già da un bel po’, che la crisi esploda in modo irreparabile proprio ora, a meno di un mese dal voto non sembra davvero una coincidenza casuale.
Entriamo nel merito delle cose da fare e non caviamocela con la proposta di commissariamento, che può andar bene, ma, alla fine, risolve poco, perché non si tratta del solo Mps ma di una melma che avvolge tutto il sistema bancario internazionale.
Ed allora veniamo ai punti davvero decisivi:
A - Rapporto politica-finanza: garantire la separazione netta fra potere politico e finanza, il che non significa necessariamente che la finanza debba esse sempre e solo privata (anzi, sarebbe auspicabile un ritorno della finanza pubblica), ma separare nettamente gli interessi e non creare “centri di potere misto”. A questo proposito occorrerà studiare adeguate misure per le nomine dei responsabili, per garantire l’indipendenza del loro operato dal potere politico, ma anche per garantire forme di controllo efficace del loro operato;
B - Tornare alla separazione fra banche di raccolta e banche d’affari: l’inizio della serie ininterrotta di scandali bancari degli ultimi 10 anni (dal caso Enron a Parmalat, dalla Lehman Brothers a Dexia) in un modo o nell’altro è sempre riconducibile all’infausta decisione degli anni novanta di cancellare la separazione fra banche d’affari e banche di raccolta. Che ne dite se riconsideriamo questa norma che, tecnicamente, possiamo definire solo con una parola: criminogena;
C - Derivati: quello che ha fatto il gruppo dirigente del Mps è stata la stessa cosa che hanno fatto tutte le banche del mondo negli ultimi anni: nascondere i propri imbrogli nel tritacarne dei derivati che sono alla base del crack del 2007-8 e che sono ripresi in piena forma, superando il volume pre-crisi. Credo che sia arrivato il momento di dire che non esistono derivati tossici e derivati non tossici, ma che i derivati, per definizione sono titoli tossici da mettere fuori legge. Non sarebbe il caso di iniziare una campagna internazionale in questo senso? Quantomeno si possono prendere decisioni limitative a livello nazionale;
D - Pene per i reati finanziari: che ne dite di inserire nella campagna elettorale la proposta di ripensare completamente i reati finanziari combinando pene dai 20 anni all’ergastolo in base alla gravità del fatto? Possibilmente con l’applicazione, ad essi, del 41 bis. O pensate che i reati finanziari siano meno pericolosi di quelli di terrorismo e mafia? [Tratto da Aldo Giannuli Blog]
L'INTRATTENIMENTO ELETTORALE OSCURA LA QUESTIONE COLONIALE
La Legge 448/2001, all'articolo 41, dava avvio ad una delle più gigantesche operazioni di colonialismo finanziario della Storia, aprendo agli enti locali italiani la possibilità di accedere all'investimento internazionale in titoli derivati. Allora il ministro del Tesoro Giulio Tremonti non aveva ancora scoperto la sua vocazione di "critico" della finanza globale, e così contribuì con entusiasmo ad organizzare la truffa in cui sono incorsi centinaia di Comuni italiani, compresi i due maggiori, Roma e Milano.
La Legge 448/2001 fu voluta dal governo di centrodestra, ma il coinvolgimento nella truffa fu trasversale, dato che mentre a Milano il sindaco Moratti si lasciava irretire da Deutsche Bank, a Roma era invece il sindaco di centrosinistra Veltroni a cedere alle lusinghe di JP Morgan. Come hanno riportato le cronache di questi giorni, il nome di Deutsche Bank non ricorre solo nell'inchiesta giudiziaria per la frode al Comune di Milano, e nelle relative condanne in primo grado, ma anche nell'attuale inchiesta giudiziaria sulla frode-derivati che coinvolge i vertici del Monte dei Paschi di Siena.
Nello scorso dicembre Deutsche Bank era stata denunciata alla magistratura americana da alcuni ex dipendenti, sempre per una frode legata ai soliti titoli derivati. La stessa Deutsche Bank era già sotto inchiesta negli Usa dall'agosto scorso per riciclaggio di denaro sporco; anche se l'improvvisa severità statunitense era dovuta al motivo contingente che le operazioni di riciclaggio avrebbero parzialmente coinvolto persino l'Iran.
C'è sempre pronto un alibi emergenziale per poi far finire in nulla queste inchieste giudiziarie, come si è visto nel caso di Goldman Sachs, poiché si può sempre evocare il rischio di una catastrofe finanziaria nel caso che una grande banca dovesse fallire. Ma è solo il pretestuoso feticcio del privato a creare queste incombenti emergenze, poiché non viene fornito alcun argomento serio per dimostrare che un pletorico e corrotto "carrozzone pubblico" debba far peggio degli attuali banchieri privati. Tanto più che, spesso, le privatizzazioni non fanno altro che riciclare nelle nuove SpA lo stesso management che prima operava nel pubblico; offrendogli però le maggiori possibilità di malversazione offerte dal diritto privato.
A rafforzare il feticismo del privato ci pensa, stranamente, proprio il ceto politico. I toni della campagna elettorale hanno infatti consentito ai media che contano (i media "mainstream", come si dice oggi) di porre al centro dell'attenzione la polemica sulle responsabilità del Partito Democratico senese nella gestione del Monte dei Paschi di Siena. Il finanziere Alessandro Profumo, l'uomo chiamato l'anno scorso a salvare il Monte dei Paschi di Siena, si è potuto così permettere di minimizzare tutta la questione, come se si fosse trattato di un banale problema di ingerenza dei partiti nella gestione della banche. Una volta resa autonoma la banca dalla politica, tutto sarebbe risolto.
Se i politici si prestano a fare da paravento e parafulmine per conto del colonialismo finanziario delle multinazionali del credito, non è certo per altruismo. La politica infatti non è altro che una delle tante forme del lobbying delle multinazionali. Quando un ex Presidente del Consiglio, ex ministro del Tesoro ed ex ministro degli Interni lascia la carriera politica attiva per diventare advisor di Deutsche Bank, ciò dovrebbe ragionevolmente suscitare un minimo di perplessità e di discussione politica e mediatica. Invece nulla.
Per avere un quadro esauriente del fenomeno del lobbying, la lista dei politici che hanno incarichi di consulenza nelle grandi banche andrebbe completata con i nomi dei loro parenti che fanno carriera dirigenziale in qualche multinazionale. La tangente è illegale, ma nessuna legge potrà mai vietare che il figlio o il nipote di un politico diventi dirigente di una banca.
Ma è nelle organizzazioni internazionali che il lobbying trova la sua sede privilegiata. Ad esempio, l'OCSE - un'emanazione del Fondo Monetario Internazionale - può anche inviare ai vari governi le sue "raccomandazioni" (sempre il solito assistenzialismo per ricchi: privatizzare i servizi pubblici e abolire le tutele del lavoro), e può persino pretendere che vengano rovesciati i risultati del referendum sull'acqua, senza che nessun commentatore ufficiale si faccia venire qualche dubbio sulla credibilità dell'impalcatura "democratica".
I candidati elettorali che maggiormente rivendicano il loro carattere alternativo al sistema, sono poi quelli che più insistono sulla corruzione del ceto politico italiano invece che sull'ingerenza coloniale della NATO, del FMI o del WTO. Anzi, in molti discorsi elettorali degli "alternativi" non mancano neppure i toni celebrativi nei confronti dei mitici "modelli democratici" degli USA o della Gran Bretagna.
Sta di fatto che ora nell'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena è spuntato il nome anche dell'altro mago dei derivati, cioè la famigerata JP Morgan. Nonostante tutta la buona volontà dei media e dei candidati elettorali, far passare davanti all'intera opinione pubblica l'affare MPS solo per una questione interna italiana sarà comunque difficile. [Tratto da Comidad]
La Legge 448/2001, all'articolo 41, dava avvio ad una delle più gigantesche operazioni di colonialismo finanziario della Storia, aprendo agli enti locali italiani la possibilità di accedere all'investimento internazionale in titoli derivati. Allora il ministro del Tesoro Giulio Tremonti non aveva ancora scoperto la sua vocazione di "critico" della finanza globale, e così contribuì con entusiasmo ad organizzare la truffa in cui sono incorsi centinaia di Comuni italiani, compresi i due maggiori, Roma e Milano.
La Legge 448/2001 fu voluta dal governo di centrodestra, ma il coinvolgimento nella truffa fu trasversale, dato che mentre a Milano il sindaco Moratti si lasciava irretire da Deutsche Bank, a Roma era invece il sindaco di centrosinistra Veltroni a cedere alle lusinghe di JP Morgan. Come hanno riportato le cronache di questi giorni, il nome di Deutsche Bank non ricorre solo nell'inchiesta giudiziaria per la frode al Comune di Milano, e nelle relative condanne in primo grado, ma anche nell'attuale inchiesta giudiziaria sulla frode-derivati che coinvolge i vertici del Monte dei Paschi di Siena.
Nello scorso dicembre Deutsche Bank era stata denunciata alla magistratura americana da alcuni ex dipendenti, sempre per una frode legata ai soliti titoli derivati. La stessa Deutsche Bank era già sotto inchiesta negli Usa dall'agosto scorso per riciclaggio di denaro sporco; anche se l'improvvisa severità statunitense era dovuta al motivo contingente che le operazioni di riciclaggio avrebbero parzialmente coinvolto persino l'Iran.
C'è sempre pronto un alibi emergenziale per poi far finire in nulla queste inchieste giudiziarie, come si è visto nel caso di Goldman Sachs, poiché si può sempre evocare il rischio di una catastrofe finanziaria nel caso che una grande banca dovesse fallire. Ma è solo il pretestuoso feticcio del privato a creare queste incombenti emergenze, poiché non viene fornito alcun argomento serio per dimostrare che un pletorico e corrotto "carrozzone pubblico" debba far peggio degli attuali banchieri privati. Tanto più che, spesso, le privatizzazioni non fanno altro che riciclare nelle nuove SpA lo stesso management che prima operava nel pubblico; offrendogli però le maggiori possibilità di malversazione offerte dal diritto privato.
A rafforzare il feticismo del privato ci pensa, stranamente, proprio il ceto politico. I toni della campagna elettorale hanno infatti consentito ai media che contano (i media "mainstream", come si dice oggi) di porre al centro dell'attenzione la polemica sulle responsabilità del Partito Democratico senese nella gestione del Monte dei Paschi di Siena. Il finanziere Alessandro Profumo, l'uomo chiamato l'anno scorso a salvare il Monte dei Paschi di Siena, si è potuto così permettere di minimizzare tutta la questione, come se si fosse trattato di un banale problema di ingerenza dei partiti nella gestione della banche. Una volta resa autonoma la banca dalla politica, tutto sarebbe risolto.
Se i politici si prestano a fare da paravento e parafulmine per conto del colonialismo finanziario delle multinazionali del credito, non è certo per altruismo. La politica infatti non è altro che una delle tante forme del lobbying delle multinazionali. Quando un ex Presidente del Consiglio, ex ministro del Tesoro ed ex ministro degli Interni lascia la carriera politica attiva per diventare advisor di Deutsche Bank, ciò dovrebbe ragionevolmente suscitare un minimo di perplessità e di discussione politica e mediatica. Invece nulla.
Per avere un quadro esauriente del fenomeno del lobbying, la lista dei politici che hanno incarichi di consulenza nelle grandi banche andrebbe completata con i nomi dei loro parenti che fanno carriera dirigenziale in qualche multinazionale. La tangente è illegale, ma nessuna legge potrà mai vietare che il figlio o il nipote di un politico diventi dirigente di una banca.
Ma è nelle organizzazioni internazionali che il lobbying trova la sua sede privilegiata. Ad esempio, l'OCSE - un'emanazione del Fondo Monetario Internazionale - può anche inviare ai vari governi le sue "raccomandazioni" (sempre il solito assistenzialismo per ricchi: privatizzare i servizi pubblici e abolire le tutele del lavoro), e può persino pretendere che vengano rovesciati i risultati del referendum sull'acqua, senza che nessun commentatore ufficiale si faccia venire qualche dubbio sulla credibilità dell'impalcatura "democratica".
I candidati elettorali che maggiormente rivendicano il loro carattere alternativo al sistema, sono poi quelli che più insistono sulla corruzione del ceto politico italiano invece che sull'ingerenza coloniale della NATO, del FMI o del WTO. Anzi, in molti discorsi elettorali degli "alternativi" non mancano neppure i toni celebrativi nei confronti dei mitici "modelli democratici" degli USA o della Gran Bretagna.
Sta di fatto che ora nell'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena è spuntato il nome anche dell'altro mago dei derivati, cioè la famigerata JP Morgan. Nonostante tutta la buona volontà dei media e dei candidati elettorali, far passare davanti all'intera opinione pubblica l'affare MPS solo per una questione interna italiana sarà comunque difficile. [Tratto da Comidad]
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